L'abbazia di San Bartolomeo

Last update 24 November 2017

Nel 952 Berengario II ed Adalberto da Pavia confermano e ribadiscono a Bruningo, vescovo di Asti, il possesso del monastero di Azzano (scritto Anzanum) "...constructum in honorem Beatae Dei Genitricis Mariae..." con tutte le cose e le famiglie che gli appartengono ossia terre colte ed incolte, vigne, campi, prati, pascoli, selve, ghiaieti, pescaie, gli aldii e le loro cose, molini, acque e cor­si delle acque, servi ed ancelle e famigli di ambo i sessi. Inoltre concedono, donano ed elargiscono a detto monastero dodici piedi (circa tre metri e mezzo) delle due rive del fiume Tanaro, già appartenente alla loro corte di Annone, del tratto tra il rio dei lebbrosi (rio di Valmanera) e il rio di Azzano (rio di San Bartolomeo) con il diritto di riscuotere tributi sul traghetto, sulle palificazioni, sulle merci di passaggio, sull'occupa­zione delle rive, sulla legatura dei navetti e ogni altra pubblica esazione; con il permesso di sfruttare la corrente per i traghetti,i molini e le pescaie (la regola proibiva ai monaci di mangiare carne di quadrupedi). Il documento termina con l'ordine a chiunque di non disubbidire a queste disposizioni e di non molestare il monastero e l'abate, che in quel momento si chiamava Lamberto. Commina ai contravventori una multa di 50 lire d'oro metà per la corte e metà per il monastero e invoca su di loro la maledizione della Ma­donna e la perdizione con Giuda traditore. Da questo documento risulta innanzitutto che l'abbazia già esisteva nel 952 ed era dedicata a Santa Maria madre di Dio.


Anticamente la tradizione attribuiva la fondazione del convento al re Berengario l nell'893 ma nessun documento lo prova. L'abbazia di Azzano fu probabilmente fonda­ta dagli anscarici, protettori dei benedettini ed interessati a tenere la zona attorno ad Asti, da Belangero ad Annone, che già possedevano, e a bonificare la paludosa piana del Tanaro.
Artefici potrebbero essere lo stesso Berengario Il e il vescovo Bruningo fedele a Berengario e per molti anni suo arcicancelliere, dopo il conferimento dell'episcopato di Asti a Bruningo nel 937.


Ci sono, di poco posteriori alla donazione di Berengario, due documenti che ri­guardano l'abbazia, ancora dedicata a Santa Maria e sono documenti riguardanti terreni dell'abbazia che l'abate Almoino scambia con altri o più vicini al monastero o per effet­tuare degli accorpamenti. Il primo, dove l'abate Almoino permuta beni in Vigliano con altri in Nante (il paese vicino al Torrazzo, poi distrutto e scomparso nel corso dei seco­li), è del febbraio 966 ed è stato scritto e firmato in Azzano (loco Agjano). Il secondo è del 5 maggio 967 e qui l'abate Almoino permuta beni in Nante con altri in Nante stesso (è citata la chiesa di San Dionigi, probabilmente nella località tutto­ra esistente di San Dionigi vicino al borgo delle Trincere). Anche questo è scritto e fir­mato nel castello di Azzano (Ioco Agjano infra castro eiusdem monasterio) da cui sembra che il castello sia tenuto dai monaci.


Ma il regno di Berengario II volgeva alla fine; la durezza del suo governo, le vendet­te contro i feudatari e i vescovi che l'avevano contrastato provocò il malcontento dei signori italiani che invocarono l'aiuto del re di Germania Ottone. Ottone venne in Italia e sconfisse Berengario. A Roma il papa lo incoronò imperatore del Sacro Romano Impero germanico sotto cui Ottone riunì le due corone dei regni di Germania e d'Italia, restaurando l'autorità imperiale in Italia, e così finì il regno d'Ita­lia degli Italiani.

È del 969 un documento con cui Ottone I dona al vescovo di Asti Rozone, il terri­torio per quattro miglia tutto attorno alla città di Asti e conferma i diritti su chiese, pievi e corti tra cui: «Abbaciolas quoque unam de agjano in honore Sancti Bartholomei apo­stoli» (la piccola abbazia di Azzano in onore di San Bartolomeo apostolo). Da notare che qui appare per la prima volta la dedicazione dell'abbazia a San Bartolomeo solo due anni dopo l'ultimo documento in cui, come abbiamo visto, l'ab­bazia è dedicata a Santa Maria. Non sappiamo la ragione di tale cambiamento.


Nel 1041 il vescovo Pietro II ottiene dall'imperatore germanico Enrico III un diplo­ma di conferma di tutti i possessi e dei privilegi già goduti, in più estende il dominio del vescovo fino a sette miglia attorno alla città di Asti ed elenca poi in dettaglio tutti i paesi e le chiese dipendenti. Tra gli altri figurano nell'elenco:

La corte di Quarto, con la cappella, il bosco e tutte le sue pertinenze fino al Tanaro.

Il monastero di San Bartolomeo di Azzano, con il castello, le cappelle, il bosco e tutte le sue pertinenze.

Rocca S. Genesio con le cappelle, le selve, l'isola «Ducale» e tutte le pertinenze.

Le cappelle di Azzano citate erano l'antichissima chiesa di San Michele già esistente nel X secolo e demolita recentemente per far posto al nuovo cimitero e un'altra chiesa dedicata forse a Santo Stefano di cui rimangono forse i resti nell'abside dell'attuale San Giacomo. Si fa notare che ad Azzano c'è solo il bosco mentre a Rocca ci sono le selve. La differenza è notevole perché la «silva» è un bosco selvaggio, non praticato e non sfruttato. Si fa notare che dal 1041 (diploma di Enrico III al vescovo Pietro) fino al 1151 (pri­mo documento nominato dal Regestum degli atti dell'abbazia) non sono state trovate notizie né di Azzano né dell'abbazia di San Bartolomeo.

Recentemente il prof. Nebbia di Annone ha rinvenuto nell'Archivio di Stato di To­rino le carte dell'abbazia di San Bartolomeo di Azzano, che si credeva fossero andate perdute nella distruzione dell'abbazia. Si tratta di circa 8000 documenti e di un Regestum-Repertorium in due volumi com­pilato tra il 1725 e il 1728 da padre Isidoro da Parma che riassume e repertoria tutti gli scritti allora esistenti nell'archivio dell'abbazia a partire dal 1151. Fra questi primi documenti, dal 1151 al 1250 prevalgono gli atti di donazione a favore del monastero o gli acquisti di terre. Si trovano anche sentenze a favore degli abati per affitti non pagati, per la restituzione di terre abusivamente occupate o per of­fese ai messi del monastero, forse degli esattori. Le proprietà del monastero si allargava­no (alle volte i terreni acquisiti erano adiacenti a terre già del monastero) e messe a frutto, continuava l'opera di bonifica e disboscamento. Nel 1247 l'abate Anselmo ricevétte, dietro sua richiesta dal papa Innocenzo IV, una bolla con la quale il pontefice prendeva sotto la sua protezione il monastero con tutte le chiese che da esso dipendevano e la sue terre compresa «villam de Azano cum perti­nenciis suis» dal che sembrerebbe che a quest'epoca i monaci erano già in possesso di Azzano o lo erano sempre stati.

Molti sono i documenti che citano Azzano, nel passaggio da un Signore all'altro, finché nel 1387 Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, lo cedette con la contea di Asti in dote alla figlia Valentina che sposa Luigi l° di Or­leans. Luigi di Orleans prese possesso della contea di Asti, cambiò l'amministrazione e concluse un trattato con il marchese del Monferrato contro le lotte e i sorprusi dei nobi­li che correvano la campagna con le loro bande armate. Cercò di riportare Asti alla sua antica ricchezza, togliendi i dazi sulle materie prime in modo che l'artigianato rifiorisse, fece derivare dal Borbore una bealera che attraversando la città fornisse l'energia idraulica alle manifatture e alle officine e infine costituì o potenziò la «società del moleggio». Era questo un ente che doveva gestire i mulini sul fiume Tanaro da Belangero fino ad Azzano e ciò portò in contrasto il comune di Asti e l'abbazia di Azzano, che già erano in contrasto per i diritti sul fiume (pesca, navigazione, divisione dei terreni alluvionali) come risulta dal «Sommario delle liti tra Asti e l'abbazia di San Bartolomeo» (una raccolta di documenti che va dal 1397 al 1764, 350 anni!).

Dal 1400 l'abbazia era tornata a fiorire, ospitava da 12 a 20 monaci e gli abati appar­tenevano ad importanti famiglie (Cacherano ed Incisa per esempio), nel solo territorio di Azzano disponeva di 900 giornate di terra e con quelle dei territori vicini e lontani si stima che arrivasse a 2500 giornate (3 giornate sono circa un ettaro). L'abbazia oltre ai mulini possedeva una fornace, una conceria e un martinetto (una officina per la lavo­razione del ferro: zappe, badili, vomeri, ecc.). Ma l'abbazia deve difendersi dalle pretese del vescovo e del comune di Asti e così nel 1477 i monaci dell'abbazia aderiscono alla congregazione di Santa Giustina che fa capo direttamente al papa e nel 1480 liquidano i diritti del vescovo di Asti, Damiani, con una elargizione di 200 scudi d'oro e il «jus visitandi» (diritto di visita) alle parroc­chie dipendenti dall'abbazia.

Durante il 1500 le condizioni economiche di Asti erano pessime e quando, nel 1538, Emanuele Filiberto di Savoia ereditò dalla madre la contea di Asti tentò di risollevare l'economia della città. Ma l'abbazia, forte dei suoi privilegi e delle sue terre, rimaneva un'entità economi­camente forte. Nel 1570 fa restaurare la chiesa, che viene consacrata dal vescovo Della Rovere nel 1584. I monaci continuarono le liti contro la «società del moleggio» che nel 1591 era arri­vata a possedere ben dodici mulini sul fiume: tre allo Schellino, tre in Prarado, tre alla Garlasca e tre alla Daia. I monaci infatti nel 1589 chiesero l'esecuzione di una sentenza ducale per «inibire sì alla città che ad ogni altro di molestare detto monastero nel sud­detto possesso...». I monaci avevano anche fatto costruire un ponte di barche vicino alla cascina di San Dionigi, «ed era tanto solido che vi passavano non solo i pedoni ma anche i carri.... Vi si pagava per il transito un piccolo tributo e un agente del monastero stava sul ponte per esigerlo», come dice un testimonio della Rocca il 10 dicembre 1590.

Durante il 1600, la scarsità di raccolti per avversità naturali, la mancanza di manodopera per lo spo­polamento dovuto alle pestilenze, le occupazioni militari e le requisizioni, forse anche la mancanza di una direzione continuativa segnarono una svolta nella prosperità economica del monastero di Azzano. Tra l'altro in un atto giuridico dell'epoca, un teste dichiara che i monaci «nel tempo che gli spagnoli erano sotto Asti e per causa che non potevano servirsi dei loro mulini che avevano in San Bartolomeo di Azzano a causa della soldatesca spagnola» eb­bero la permissione della «compagnia del moleggio» di usare i loro mulini vicino alla Margheria della certosa e si erano obbligati a pagare con «un sacco di molatura per ca­dun mese e cadun mulino». I monaci sono costretti a chiedere aiuto e il papa nel 1645 concederà all'abbazia l'indulgenza plenaria (remissione delle pene temporali per i peccati commessi) per chi avesse aiutato l'abbazia.

Il secolo successivo  l'abbazia di San Bartolomeo ritornò alla prosperità. Nel 1770 "rinnovò radicalmente la vasta chiesa e i grandiosi edifici, profondendo in­genti capitali", tra cui la decorazione della chiesa, della sacrestia e della sala capitolare, effettuata dai fratelli Pozzo che avevano lavorato a lungo nella cattedrale di Asti. Può dare un'idea dell'importanza dell'abbazia, il fatto che nel 1777 vi si tenne il capitolo generale dei frati cassinesi con 185 padri, rappresentanti tutte le case benedettine d'Italia. Ma in una relazione alla segreteria di stato del 18 settembre 1782 è detto che i bene­dettini cassinesi di San Bartolomeo "non attendono che al coro, vivono sfaccendati ed oziosi, convertendo nei loro privati comodi le assai pingui entrate del monastero e sin­golarmente nel mantenimento di cavalli e carrozze". Uno scrittore contemporaneo (De Canis) così descrive l'abbazia: «Al nord d'Azza­no ed alla distanza d'un miglio circa quasi, sulla destra sponda del Tanaro incontravasi il celebre e ricco monastero di San Bartolomeo. Il monastero aumentò sempre di ricchezze, che a tal segno andarono, che trent'an­ni prima della soppressione fu il fabbricato antico rimodernato in un colla chiesa, attor­no dei quali furono spesi immensi denari; il lusso e la corruzione, solita conseguenza delle ricchezze presevi cotal piede che gli abbati e gli altri superiori marciavano in car­rozza, erano serviti di livree e tenevano un rango da gran signori...». (Leggi il testo completo...)

Sul finire del '700 Asti venne occupata dai Francesi e poi dagli Austro-Russi che devastarano i dintorni di Asti per foraggia­re cavalli e soldati. Nel periodo napoleonico il territorio venne annesso alla Francia come diparti­mento del Tanaro. Il 13 fruttidoro anno X (31 agosto 1802) un decreto del governo francese di­sponeva la soppressione degli ordini mona­stici. L'abbazia di San Bartolomeo venne selvaggiamente saccheggiata e lasciata in tali condizioni che nel giro di pochi anni venne poi demolita. (Leggi come il De Canis descrive la distruzione dell'abbazia...)

L'altar maggiore è finito nella parrocchiale di Annone, la balaustra alla parrocchiale della Rocca e due grandi quadri del milleseicento custoditi nella parrocchiale di Azzano sono stati recentemente rubati. Le rovine diventarono una cava di mattoni per la gente del paese e scompariranno definitivamente verso il 1900. Al suo posto ora non vi sono che campi coltivati e dell'abbazia non è rimasto che il nome della località.